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Due contribuenti, Tizio e Caio,  impugnano un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, che li identifica quali soci di una società di fatto (SDF) insieme ad altri soggetti. Essi hanno rapporti con queste altre persone in quanto agenti di commercio dei prodotti – pellet – oggetto della frode carosello, che gli altri soggetti hanno realizzato. I verificatori e l’Agenzia coinvolgono i due agenti di commercio – scrivono proprio così negli atti – per rendere “più proficuo” il recupero di oltre 3 milioni, tra Iva e sanzione, a carico della SDF, della quale pertanto considerano partecipi anche Tizio e Caio. Gli altri soggetti, dediti abitualmente alle frodi fiscali, infatti, erano tutti nullatenenti. Il contenzioso ha riguardato diversi aspetti, tra cui, quello principale, la contestazione della partecipazione alla società di fatto di Tizio e Caio. Questa circostanza costituisce il presupposto di fatto della responsabilità fiscale loro attribuita, quali soggetti illimitatamente responsabili – soci di una SDF – e perciò coobbligati per la pretesa impositiva accertata di oltre 3 milioni. Ciò, ferma la possibilità che il giudice tributario confermasse l’accertamento e dunque l’esistenza della SDF fra gli altri soci.

L’Agenzia sostiene che la frode fiscale è stata condotta tramite società fittizie (missing traders) create per evitare il pagamento dell’IVA su vendite di pellet. Secondo l’Agenzia, i ricorrenti erano parte attiva nella gestione della SDF.

I difensori precisano che la prova dell’esistenza di una SDF non può essere basata sulla esistenza di rapporti commerciali – captati mediante le intercettazioni telefoniche – che sono pienamente legittimi, considerato il ruolo di agenti di commercio di Tizio e Caio. Per configurarsi una SDF, piuttosto, occorrono elementi concreti come il fondo comune, l’esercizio congiunto di un’attività economica, la suddivisione di profitti e perdite, e un vincolo di collaborazione.

I giudici accolgono la tesi dei difensori e annullano l’accertamento nei confronti di Tizio e Caio, confermandolo verso gli altri soggetti, litisconsorti necessari chiamati in giudizio ma rimasti inerti.

La Corte di Giustizia Tributaria di 1° grado di Napoli stabilisce che l’Agenzia non ha fornito elementi probatori sufficienti, nemmeno presuntivi, per dimostrare che i ricorrenti fossero effettivamente soci della SDF. Per configurare una società di fatto, l’Agenzia avrebbe dovuto dimostrare la presenza di elementi essenziali come il fondo comune, l’esercizio congiunto dell’attività economica e la ripartizione dei guadagni e delle perdite, come richiesto dalla giurisprudenza consolidata (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 24881/2021).

Nell’accogliere il ricorso, la Corte richiama gli orientamenti della Corte di Cassazione, come illustrati dai difensori dei contribuenti, in particolare:

  1. Ordinanza n. 24881/2021: Ha precisato che, in materia tributaria, la prova dell’esistenza di una SDF non si basa solo su apparenze o su dichiarazioni, ma richiede elementi concreti come il fondo comune, l’esercizio congiunto di un’attività economica, la suddivisione di profitti e perdite, e un vincolo di collaborazione. In particolare, l’esistenza di una SDF deve essere provata in modo rigoroso quando tra i soci vi sono legami familiari, escludendo che certi comportamenti siano dovuti a “affectio familiaris” (Cass. Sez. 5, 16 dicembre 2005, n. 27775; Cass. Sez. 1, 16 dicembre 2019, n. 33230);
  2. Cass. Sez. 6-5, Sentenza n. 19234/2020: Ha ribadito che l’esistenza di una SDF può essere desunta da presunzioni, ma queste devono essere sostenute da indizi rivelatori di un’organizzazione sovraindividuale e dalla gestione comune dell’attività economica;
  3. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1127/2006: Ai fini fiscali, è necessario dimostrare sia l’apparenza del vincolo sociale nei confronti dei terzi sia l’effettiva esistenza di una struttura societaria.